sabato 25 novembre 2017

Quando il viaggio è memoria del dolore: la visita del manicomio di Volterra

Questa settimana vi porto a Volterra (Toscana), sede dell’ex Ospedale psichiatrico San Gerolamo sorto nel 1887 e chiuso quasi un secolo dopo (1980) dalla legge Basaglia (la famosa legge 180).

Nella splendida cornice autunnale dei colli pisani (che nulla hanno da invidiare a quelli senesi) è possibile infatti fare una “visita culturale e fotografica” di questo luogo davvero spettrale.


L'edificio principale visitabile all'interno
Le visite vanno prenotate con mesi di anticipo, perché fanno regolarmente il sold out. Se avrete la fortuna come me di visitarlo in una giornata uggiosa d’autunno, avrete anche l’atmosfera giusta per comprendere la genesi, la storia e il declino di questo luogo, che rientra a pieno merito nella rubrica "Luoghi terrificanti".







Ma è anche e soprattutto un "Viaggio della memoria". Non è facile infatti descrivere un simile luogo in un post, come se si trattasse semplicemente di un sito abbandonato. Riuscire a mantenere il dovuto rispetto per un luogo che è stato un collettore e un crocevia di dolore, sofferenza, solitudine, angoscia e paura per tanta gente (tra i più grandi d'Italia, con punte di 5.000 pazienti), non è semplice.






Un luogo terrificante.
La visita è organizzata in modo molto competente dai membri dell’associazione "Inclusione, Graffio e Parola". L'ingresso costa 15 € e comprende la visita guidata di circa 2,5 ore con accesso ad uno dei luoghi in cui soggiornavano i malati, la visita al cimitero e l'ingresso al museo, cui aggiungere la visita in autonomia del reparto di neurologia, per un totale di 4 ore circa.


Parcheggiata l’auto al posteggio del pronto soccorso di Volterra, si sale a piedi un sentiero e si entra nei primi edifici abbandonati. In realtà, tutta l’area è una città dentro la città e il manicomio includeva molti edifici.





La visita comprende anche due rappresentazioni sceniche con attori che leggono le lettere scritte dai malati e mai consegnate (“la corrispondenza negata”) o che ne interpretano la semplice pazzia o la terribile normalità.








Tra i mille aneddoti, in questo luogo è possibile apprendere la drammatica storia di Ferdinando Oreste Nannetti (NoF4, come si firmava lui), un tipo logorroico, che una volta internato (per oltraggio a pubblico ufficiale) divenne muto e dal ’61 al ’75 comincia ad esprimere il suo disagio, ogni giorno per 12 anni, incidendo gli intonaci delle mura del cortile interno del manicomio, con la borchia di ferro del suo panciotto, per un totale di oltre 140 metri di graffiti, che raccontano la sua follia e soprattutto la sua normalità. Parte di questo lavoro si è perso, ma gran parte è sempre lì e nel museo, voce insopprimibile della sua arte e della sua sofferenza (interpretata grazia alla chiave di lettura offerta da un infermiere che lo ha conosciuto, nonchè padre della brava guida, fondatore della predetta associazione). La storia è triste e dolce al contempo e rimando, tra tanti, a questo link per chi volesse approfondire:
http://iltirreno.gelocal.it/pontedera/cronaca/2014/11/26/news/oreste-nannetti-volterra-1.10383260


I graffiti di NoF4


Saliti sul pulmino, dopo 10 minuti di tragitto si arriva al cimitero del manicomio, nel senso che vi sono sepolti soltanto i suoi pazienti. Poiché si tratta di persone rifiutate da tutti anche dopo la loro morte, il cimitero per decenni è rimasto in condizioni pietose e si era trasformato in una foresta, con poche lapidi affioranti. L’amministrazione comunale e l'Onlus di cui sopra è riuscita a ridare dignità alla morte di queste persone e lo ha riportato in condizioni di normalità, rendondolo visitabile.







La visita guidata si conclude con il piccolo museo allestito dentro la biblioteca dell’ospedale dove, tra i volumi di psichiatria, si trovano vecchi strumenti medici, camicie di forza e documenti storici.











Il busto di Luigi Scabia, Direttore dell'Asilo Dementi di Volterra dal 1900 al 1934
e ideatore del metodo psichiatrico fondato sull'impegno dei pazienti in attività lavorative


Terminata la visita guidata è possibile esplorare in autonomia, prendendo un sentiero davvero nascosto oltre il manicomio, il reparto di neurologia, di più recente costruzione. Sebbene più moderno, questo grande edificio abbandonato, devastato e vandalizzato, conserva il suo fascino. È stato messo in sicurezza, ma la liberatoria viene fatta firmare anche per questo luogo…per accedere all’interno occorre passare da una stretta inferriata arrugginita, oltre la quale si apre un inferno di vetro e calcinacci. Queste poco foto cercano di documentare il luogo e gli spettri che vi albergano.











L'edificio di Neurologia è davvero agghiacciante. Per quanto vandalizzato, conserva parte degli arredi originali. Perfetta location di un film horror, con tanto di scala retraibile che porta nel sottotetto...



Per quanto ciascuno possa avere la propria opinione sull’utilità, la finalità e le modalità procedurali con cui i manicomi o strutture oggi assimilabili dovrebbero funzionare, così come sui riflessi sulla famiglia del malato e sulla società, rimane il fatto oggettivo che abbiano raccolto tanta sofferenza, fuori dagli occhi dei “normali” che non volevano vedere, né sapere.

La cosa più difficile da accettare è sapere che a quei tempi venivano internati soggetti che con la malattia mentale non c’entravano nulla, quali i malati di tubercolosi. Oppure i sardi, perché ritenuti incomprensibili nel comunicare… a dir poco agghiacciante.

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